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Biennale 2018, lo spazio libero secondo i Maestri dell’Architettura

Alle Corderie dell’Arsenale tra i protagonisti Toyo Ito e Souto de Moura, Embt e SANAA

A Venezia, per la Biennale 2018 curata da Yvonne Farrell e Shelley McNamara, il tema Freespace viene declinato in due modi: c’è chi ha deciso di realizzare un’installazione accompagnata da una riflessione teorica e chi ha preferito esporre un’architettura costruita, chiara risposta ad un bisogno.

FREESPACE può essere uno spazio di opportunità, uno spazio democratico, non programmato, libero

Yvonne Farrell + Shelley McNamara

Álvaro Siza, Evasão

Tra le opere site specific più significative c’è quella di Álvaro Siza, architetto portoghese già vincitore del Leone d’oro alla carriera in occasione della Biennale 2012, che a Venezia ha portato Evasão, una piazza circolare delimitata da soli due elementi marmorei che mai si toccano: un alto muro da un lato e una seduta dall’altro. “La panchina e il muro si dissolvono nello spazio pur creando un luogo”, afferma l’architetto, che gioca con il tema della piazza, sovvertendone le regole: per colpa dell’alto muro non è possibile vedere oltre Evasão e il negato rapporto con l’intorno crea nel visitatore uno stato d’ansia, un desiderio di fuga. Per questo Siza pone, con ironia, una scala a pioli nell’installazione: freespace per lui non vuol dire vuoto, ma spazio di e in relazione con il contesto.

SANAA, Guruguru ©Francesco Galli

Di assenza di riferimenti parla anche Guruguru, opera di SANAA, lo studio giapponese di Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa: come accade per tante delle loro architetture, anche alla 16. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia presentano un progetto leggero e impercettibile, quasi etereo. Guruguru è una spirale di pannelli acrilici trasparenti di cui è difficile cogliere inizio e fine. Ma guardando attraverso questi layer, luci e forme appaiono distorte, come a dire che anche il più piccolo e libero spazio influenza e varia la percezione del tutto.

Altra proposta che cattura l’attenzione è quella di Benedetta Tagliabue dello studio EMBT. L’architetto italiano ha disegnato una struttura metallica con elementi triangolare o romboidali uniti da della canapa intrecciata a mano. Weaving Architecture, questo il nome, avvolge quella che sembra una zona relax: offre protezione e ombra, creando un’area semi-aperta per lo svolgimento di varie attività e rimanda a concept già utilizzati dalla Tagliabue nei progetti di riqualificazione delle periferie, che lei definisce spazi senza identità, quindi senza libertà.
Per rispondere all’invito delle curatrici, le Grafton Architects, l’architetto giapponese Toyo Ito combina mondo fisico e digitale con l’opera Virtual Nature: uno spazio di riposo, circondato da teli con proiezioni. Le grafiche, spiega il maestro, rappresentano le informazioni che connettono il mondo, perché solo il luogo dove l’informazione è libera può essere definito un freespace.

Tra le molte installazioni, non mancano opere realizzate. Rafael Moneo, architetto spagnolo Premio Pritzker nel 1996, porta in mostra il Municipio di Murcia, edificio che si dissolve, grazie ad aperture e terrazze, nello spazio pubblico aperto. Attraverso una grande immagine ed un testo di accompagnamento, Moneo fa leva sul fatto che la libertà dell’architetto spesso coincide con la negazione della “autonomia degli utenti”, mentre lo spazio libero deve essere massimo punto d’arrivo dell’architettura.

Dorte Mandrup, Conditions Icefiord Centre ©Milena Rettondini

Anche la danese Dorte Mandrup sceglie di rispondere alla chiamata delle colleghe irlandesi con un suo progetto: l’Icefiord Centre in Groenlandia, polo per la ricerca ed ultimo avamposto costruito per osservare l’antico ghiacciaio Sermeq Kujalleq. In questo luogo riconosciuto dall’UNESCO come Patrimonio Mondiale dell’Umanità, la natura è matrigna, le regole dell’architettura vengono sovvertite perché la percezione degli spazi, dei colori, dei tempi è completamente soggiogata alle vaste distese di ghiaccio. Per comunicare queste condizioni estreme l’architetto sceglie di esporre un prototipo dell’edificio contornato dai ghiacci: entrando nello spazio dedicato, si viene catturati da luci e suoni, elementi cardine di questi luoghi fisicamente molto liberi, ma altrettanto limitanti.

Eduardo Souto de Moura, Vol de Jour ©Francesco Galli

Infine, Eduardo Souto de Moura, che ha vinto il Leone d’oro come miglior partecipante si è presentato con Vol de Jour: due fotografie aeree che immortalano il progetto dell’architetto portoghese per la riqualificazione del complesso agricolo São Lourenço do Barrocal. Le immagini sono in grado di dimostrare con semplicità ed immediatezza il rapporto essenziale tra architettura, luogo e tempo.

 

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