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L’evoluzione dell’architettura: dalla ricerca del bello alle neuroscienze

Nel libro “Tuning architecture with humans” Davide Ruzzon spiega il cambio di paradigma per migliorare il benessere dell’abitare


Un’opera di architettura non è scultura. Non è qualcosa da ammirare ma un luogo in cui passare del tempo: e fa tutta la differenza del mondo. Lo dice Davide Ruzzon, sintetizzando la sua attività che va avanti da tanti anni in cui, da architetto, ha cominciato a occuparsi di neuroscienze. Studiando come gli ambienti possono essere concepiti per migliorare il benessere di coloro che li frequentano. Il che, come si potrà immaginare, è particolarmente importante per mitigare lo stress (e dunque migliorare la salute) in luoghi che potrebbero essere naturalmente portati a provocarne: quelli in cui si lavora. Tuning architecture with humans (Armonizzare l’architettura con gli esseri umani), edito da Mimesis International, è l’ultimo libro di Ruzzon, docente a contratto allo Iuav di Venezia, che l’autore ha presentato il 28 giugno in una location non casuale: l’EY wavespace di Roma, progettato da Enrico Arrighetti di Degw e dallo stesso Ruzzon di Tuned, entrambi brands di Lombardini22, adottando, in via sperimentale, un metodo progettuale che si basa su alcune ricerche sviluppate da Ruzzon nell’ambito delle neuroscienze e applicate alla configurazione di questo spazio architettonico.

Progettare per il benessere. Il volume si prefigge di abbattere le barriere tra architettura e neuroscienze, tra filosofia biologia e antropologia. In esso Ruzzon argomenta che sono state le caratteristiche evolutive dell’interazione umana nell’ambiente naturale a dare forma lentamente al comportamento umano. Questi modelli primitivi hanno prodotto, in una dimensione sociale, l’affiorare dei sentimenti alla coscienza e gradualmente del linguaggio. Le neuroscienze spiegano il meccanismo attraverso cui l’architettura ha rappresentato un passaggio cruciale nel potenziamento cognitivo degli esseri umani. La nascita dell’architettura è stato un passaggio dagli ambienti naturali, sin dall’epoca dell’Homo Erectus, a quelli “artificiali”. Ma nell’architettura si è sempre cercato il concetto di “bello”, senza chiedersi cosa fosse “adatto”. Oggi le tecnologie e le architetture sviluppate dall’uomo, insieme alle trasformazioni culturali e sociali, soprattutto negli ultimi due secoli, hanno cambiato le città senza una sufficiente coscienza del ruolo fondamentale svolto dall’ambiente nell’evoluzione umana. Per Ruzzon il nostro ambiente urbano, così come la crisi ambientale, sono conseguenza di questa rimozione. Ma adesso le scienze umane possono sostenere un nuovo modo di concepire un approccio progettuale centrato sull’uomo. Riscoprendo così la funzione sociale dell’architettura.


Uno sforzo, per dirla con il presidente del Cnappc Francesco Miceli, intervenuto all’evento, di rivisitazione delle proprie visioni da parte degli architetti, che li porti a sganciarsi da Vitruvio per abbracciare le sfide della contemporaneità.


Per dirla invece in termini misurabili, come ha fatto dopo la presentazione il team di neuroscienze applicate di EY, si può usare un dispositivo chiamato Empatica. La dimostrazione è avvenuta dal vivo, con una signora del pubblico come volontaria. Ha indossato una sorta di smartwatch in grado di misurare battito cardiaco e sudorazione. Dopodiché ha inforcato degli occhiali-visore, attraverso il quale le sono stati fatti vedere tre ambienti di lavoro generati dall’IA, in ordine crescente quanto a pulizia, gradevolezza generale e innovatività del design. I dati raccolti da Empatica hanno mostrato, analogamente, un livello crescente di benessere in colei che lo stava utilizzando.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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