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Music of the Mind, la Tate celebra Yoko Ono

Musica, creatività e attivismo. A Londra una retrospettiva dedicata all’icona internazionale


Un’icona, anticipatrice dell’arte concettuale e partecipativa, Yoko Ono lascia un gesto indelebile nella cultura contemporanea, tracciata dal suo forte attivismo per la pace quanto dalla sua operosità per l’ambiente, il femminismo, la musica, il cinema e le rappresentazioni. Artista poliedrica, nata a Tokyo nel 1933 e fin dagli anni Cinquanta attiva tra le avant garde culturali di New York e della capitale nipponica, seguite dal periodo londinese, quando incontrò John Lennon. Luoghi segnati cronologicamente dall’intraprendenza della giovane donna, che a 12 anni aveva lasciato la sua città per sfuggire ai bombardamenti bellici. Era la primavera del ‘45 quando Ono, insieme al fratello Keisuke, si era rifugiata in campagna, dove mancavano cibo e beni di prima necessità. «Ci sdraiavamo e guardavamo il cielo rifugiandoci nelle nostre immaginazioni – ricorda Ono – utilizzavamo le nostre forze di visualizzazione per sopravvivere».


Riconosciuto da Ono come il suo primo “pezzo d’arte”, il cielo appare come una tematica costante nei suoi lavori, metafora di pace, libertà e illimitatezza.


Al termine della guerra tornò a Tokyo dove studiò filosofia alla Gakushūin University per poi dirigersi verso gli Stati Uniti e riunirsi alla famiglia. Dal 1953 frequentò la scuola d’arte Sarah Lawrence, si immerse negli studi di poesia e composizione musicale e sviluppò le sue prime “instructions” tra le quali il noto Lighting Piece “Light a match and watch till it goes out”.

E proprio esplorando il ruolo decisivo di Ono nei circoli delle avant garde sperimentali di New York e Tokyo insieme allo sviluppo dei suoi ‘instruction pieces’, si dà avvio al percorso espositivo di Yoko Ono: Music Of The Mind che sarà alla Tate Modern di Londra fino al 1° settembre.


Un viaggio attraverso sette decenni di carriera, lavori multidisciplinari dal carattere innovativo e con un forte impatto sulla cultura contemporanea.


Un titolo non casuale, memore di una serie di concerti ed eventi organizzati a Londra e a Liverpool nel 1966 e 1967, volti a riflettere il suo concetto di musica silenziosa, in cui le “instructions” dell’artista riuscivano a produrre un suono nell’immaginazione di chi ascolta. Ideata in stretta collaborazione con lo studio di Ono, la rassegna espone oltre 200 pezzi: istallazioni, fotografie, musica, film, incisioni e “instruction pieces”. Queste le note “istruzioni scritte” che invitano i lettori ad immaginare, provare o completare l’opera. Istruzioni composte da un unico verbo o da una frase sintetica, redatta per stimolare e liberare la mente del lettore.

In scena anche le prime fotografie legate alle “instruction paintings” di Ono presentate nel suo loft in Chambers Street, noto come una sede dinamica per eventi e concerti sperimentali che organizzò con il compositore La Monte Young, e nella sua prima esibizione monografica alla AG Gallery (1961). Uno spazio espositivo a Manhattan, proprietà dell’architetto e designer George Maciunas a sua volta fondatore di Fluxus, dove il nome è sinonimo di una comunità internazionale di creativi che si aprì a nuove definizioni sul concetto di arte, promuovendo la “living-art” e “anti- art, a cui Ono si avvicinò.

Dalla Big Apple a Tokyo, dove tornò nel 1962 ristabilendo un network di connessioni con gruppi d’arte e musica sperimentale. Si unì al compositore e pianista Ichiyanagi con cui condivise infiniti eventi che includono un tour di concerti in Giappone a cui presero parte i famosi compositori americani John Cage e David Tudor. Successivamente si unì in matrimonio al regista Anthony Cox e nel 1964 presentò per la prima volta la performance dell’iconico Cut-Piece al Yamaichi Hall di Kyoto. «Qui spiegano i curatori – si sedette silenziosamente sul palcoscenico indossando il suo più bel vestito, mentre gli spettatori tagliarono pezzi dei suoi indumenti».

E dal Giappone a Londra. Città che divenne la dimora di Yoko Ono per cinque anni e luogo in cui riuscì ad inserirsi all’interno di un network di scrittori, artisti e musicisti decisamente controcultura e non ultimo dove incontrò John Lennon. Per la sezione britannica, nella mostra grandi spazi espositivi in bianco e nero fanno coesistere le sue opere multimediali. Accanto al Film No. 4 (Bottoms) del 1966-7, che fu creato come petizione per la pace e la cui visione fu vietata, le influenti istallazioni presentate alla Indica e Lisson Gallery che includono Apple 1966 e Half-A-Room 1967, allestita con 29 oggetti simbolici “a metà” dipinti di bianco.

“White Chess Set” è il titolo del lavoro creato nel 1966 per materializzare la posizione contro le guerre dell’artista. Arte che si trasforma in un evento partecipativo per il pubblico, invitandolo a giocare a scacchi con una scacchiera di quadrati bianchi e pezzi nel medesimo colore, guidati dall’istruzione: “gioca finché riesci a ricordare dove sono tutti i tuoi pezzi”. E il suo impegno verso il femminismo emerge dal filmato Fly 1970-1, con la voce di Ono in sottofondo e l’insetto che si muove su un corpo nudo femminile, e in Freedom 1970.

«Ono – aggiungono i curatori – ha impiegato sempre più la propria produzione artistica e la piattaforma multimediale globale per sostenere campagne umanitarie e pacifiste, inizialmente collaborando con John Lennon, suo ultimo marito. Acorns for Peace 1969 vide Ono e Lennon inviare ghiande ai leader mondiali, mentre la campagna del manifesto ‘WAR IS OVER!’ (if you want it) 1969 utilizzò il linguaggio dell’advertising per divulgare un messaggio di pace».

Tra le memorie, in tema, il film BED PEACE 1969, promosso per dar fine alla guerra in Vietnam. Tra gli ultimi interventi di Yoko Ono presentati da Tate Modern l’installazione Helmets (Pieces of Sky) e il progetto Add Colour (Refugee Boat), allestito per la prima volta nel 2016, dove il pubblico viene invitato ad aggiungere colore alle pareti candide della sala e dell’imbarcazione.

In copertina: Add color (Refugee boat) © Tate (Lucy Green)

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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