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La fotografia rivelatrice di Lorenzo Poli

La serie Life on Earth racconta la natura selvaggia attraverso diverse chiavi di lettura


Un sole primordiale che sorge tra le montagne, a simboleggiare il karma che vige sulla Terra, «dove ogni azione ha un effetto». Un deserto vulcanico, spoglio e inabitabile, in cui la vita non prospera per la maggior parte dell’anno. L’acqua – nei suoi diversi stati e nelle varie forme che assume – come seme della vita, da cui dipendono tutti gli esseri viventi. Potrebbe essere l’incipit di un romanzo di fantascienza ambientato alle origini del nostro pianeta o in un futuro post apocalittico. Il trailer di un docufilm sulla Madre Terra e sul fragile equilibrio che ha portato alla nascita della vita, messo sempre più a rischio dai cambiamenti climatici. Oppure la sequenza d’immagini ideale per una riflessione artistica, visiva e spirituale – tra scienza e religione – sul miracolo dell’esistenza.

Le dieci fotografie della serie Life on Earth – realizzate da Lorenzo Poli, fotografo italiano, classe ’76, nato a Roma e con base a Londra (ma sempre in viaggio) – possono incarnare ciascuna di queste “dimensioni”, e non solo, o essere interpretate con diverse chiavi di lettura, pur trasmettendo un messaggio universale, sulla «magia eterea della natura e la bellezza misteriosa di un mondo selvaggio, rappresentato attraverso una serie diversificata di paesaggi».

Parole, queste ultime, che riprendono le motivazioni con cui il lavoro di Poli è stato premiato dalla giuria del prestigioso Sony world photography awards (Swpa) 2022, concorso – giunto alla sua quindicesima edizione – aperto sia ad artisti affermati che a talenti emergenti di tutto il mondo. Solo quest’anno sono state presentate più di 340mila immagini da 211 territori, di cui 156mila nella categoria “professional”: oltre 300 stampe e centinaia di immagini digitali di tutti i fotografi vincitori e finalisti sono state in mostra fino al mese scorso al Somerset house di Londra.

Il fotografo italiano, che ha vinto il premio Swpa nella categoria “Paesaggio”, ha compiuto un percorso professionale molto personale, passato attraverso oltre 15 anni di attività come ingegnere e architetto a Londra e nel mondo, specializzato in ricerca e sviluppo nel campo dell’architettura e in implementazione di strategie sostenibili, su progetti di archistars come Jean Nouvel e Norman Foster. Dal 2021 si dedica a tempo pieno alla fotografia «come strumento di creazione di una coscienza tramite la riscoperta della dimensione spirituale della natura».

L’esperienza architettonica influenza inevitabilmente il modo in cui visualizzo il reale: la relazione fra spazio positivo e negativo, costruito e non costruito, la ricerca di un linguaggio essenziale e minimalista.

Lorenzo Poli

La produzione architettonica, tuttavia, è oggi «definita da parametri pressoché esclusivamente antropocentrici: architettura dell’uomo per l’uomo».

Quello che «mi affascina della Natura, in particolare nella sua dimensione incontaminata e selvaggia – prosegue il fotografo – è la sua capacità di autorganizzazione ed equilibrio, che ambisce alla perpetuazione della vita di tutte le specie viventi; di ogni specie vivente, indistintamente». In un mondo in cui gli uomini sono ormai di gran lunga la specie dominante, prosegue, «sono affascinato dagli spazi incontaminati, dove la presenza dell’uomo non è arrivata, in cui ci si possa immergere in quella dimensione primordiale e essenziale della vita. Quel luogo dove il mondo interiore e la realtà esteriore coincidono indistintamente. Quando provo queste sensazioni di completa immersione nell’ordine naturale delle cose, ho il desiderio di scattare fotografie, che la macchina fotografica amplifica internamente. Gli scatti, sono il risultato di un’esperienza esistenziale ed emozionale. E la possibilità di condividere, attraverso un supporto di stampa o tramite pixel digitali colorati su uno schermo, tale esperienza “mistica” è un fenomeno misteriosamente magico».

Un maestro della fotografia come Henri Cartier Bresson parla del ‘momento decisivo’. Edward Burtinsky, invece, descrive l’atto di scattare una fotografia in termini di “momento contemplato”.

Per quanto mi riguarda il percorso che mi conduce a scattare una foto assomiglia ad un processo di illuminazione.

Lorenzo Poli

Una sorta di momento mistico e ‘rivelatorio’, dunque, «che combina elementi come emozionalità e spiritualità nel sentirsi parte di un’ordine superiore. Ogni foto punta a narrare questa dimensione di comunione spirituale».

La serie vincitrice del World photography awards, infatti, è una narrazione: «La prima fotografia racconta che ogni azione, ogni causa sulla Terra, ha un effetto. Così come il sole al suo sorgere lascia percepire la sua presenza attraverso i suoi raggi nella valle, così ogni nostra azione quotidiana ha una ripercussione sull’ambiente circostante. La seconda parla dello stato iniziale, lo stato “zero”, ai primordi della generazione del nostro pianeta, inquadrando una faglia vulcanica su una superficie brulla, senza vita. Poi si passa al processo di trasformazione, attraverso l’acqua, le piante colonizzatrici, fino al ruolo fondamentale dei ghiacciai. C’è una linea di connessione evolutiva che cerco di costruire tra le mie foto, di un percorso temporale di bilioni di anni. La serie si conclude con una riflessione sulla nostra esistenza individuale, marginale e ‘ininfluente’ quando confrontata con i processi milionari dell’evoluzione della vita sulla terra».

Lo scorso anno Poli è stato il vincitore, tra l’altro, degli International photography awards (Ipa), del Bifa ed è il fotografo prescelto per raccontare ‘Glacial wisdom’, progetto in collaborazione con il Norwegian water resources and energy directorate (Nve): una documentazione fotografica degli effetti climatici sui ghiacciai norvegesi dove tornerà anche quest’anno  «per raccontare la saggezza millenaria che emerge alla superficie di queste enormi masse di ghiaccio. Una saggezza portata alla superficie dall’accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai conseguenza del riscaldamento del Pianeta, saggezza che sta lentamente scomparendo». Un altro lavoro in corso, invece, punta l’obiettivo a narrare la distruzione provocata sulle Dolomiti, nel 2018, dalla tempesta Vaia, che ha devastato intere valli e sradicato milioni di alberi.

In copertina: Glacial Kindom © Lorenzo Poli

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