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Task force di scienziati internazionali: in affaticamento i polmoni verdi di Africa e America

Emergenza ambientale sotto i riflettori. Al lavoro anche l’Università di Firenze e il Muse di Trento


Il mondo continua a produrre anidride carbonica e le foreste pluviali di Africa e America non reggono il passo. Questo è il verdetto del team internazionale di ricercatori coordinato dall’Università di Leeds (Regno Unito) che, attraverso il monitoraggio di 300mila alberi, ha potuto stimare la quantità di COassorbita dai polmoni del nostro pianeta.

L’unico italiano a prendere parte all’indagine scientifica è stato lo zoologo e biologo della conservazione Francesco Rovero, docente dell’Università di Firenze e collaboratore del Muse di Trento, che ha inviato i dati raccolti nella foresta dei Monti Udzungwa (Tanzania) dov’è impegnato dal 2002 in un progetto di analisi e tutela della biodiversità. «Per me – racconta lo scienziato – è stata una soddisfazione contribuire al risultato raggiunto. Per via della portata globale dei problemi ambientali, è fondamentale condividere le conoscenze scientifiche e affrontare lo studio dei fenomeni su scala vasta».

Il rischio, prospettato dai modelli statistici elaborati sulla base degli alberi esaminati, è che in meno di un ventennio le due principali “carbon sink” – letteralmente cisterne di carbonio – del pianeta perdano totalmente la loro capacità di assorbimento. Un’eventualità che spaventa gli esperti climatologi, consapevoli di quanto sia influente l’azione delle foreste tropicali sul bilancio dei gas serra e sul surriscaldamento globale.

In Amazzonia, 30 anni fa si arrivava al pareggio tra la quantità emessa e quella immagazzinata, mentre in Africa succederà intorno al 2030. Questo sottolinea l’urgenza di passare a stili di vita meno impattanti e inquinanti

FRANCESCO ROVERO

«Lo studio – spiega Francesco Rovero – ci indica che il tempo a nostra disposizione per arrivare al traguardo delle emissioni zero è ancor più limitato di quanto si pensasse, perché le foreste tropicali non sono più in grado di assorbire gli eccessi di anidride carbonica che produciamo. In Amazzonia, 30 anni fa si arrivava al pareggio tra la quantità emessa e quella immagazzinata, mentre in Africa succederà intorno al 2030. Questo sottolinea l’urgenza di passare a stili di vita meno impattanti e inquinanti».

Secondo i dati raccolti, l’aumento della temperatura terrestre e l’intensificarsi dei periodi di siccità stanno intaccando il ciclo vitale delle essenze arboree: muoiono più alberi – è ciò che si evince dai rilevamenti – e quelli presenti crescono a ritmi più bassi rispetto al passato. Ma non sono solo i gradi celsius i responsabili di questo trend negativo: le pratiche di deforestazione – supportate dai governi di quelle aree in cui sono stati condotti i rilievi – negli ultimi dieci anni consumato sempre più superficie di foresta intatta, mentre le emissioni globali di anidride carbonica sono salite del 46 percento.


Una vera sfida quella intrapresa dai ricercatori di 36 diverse nazioni che hanno analizzato il ritmo di crescita e il tasso di mortalità di 300mila alberi.


Wannes Hubau, esperto di ecosistemi forestali e capogruppo degli studiosi coinvolti nell’indagine scientifica, ammette di essere stato sconcertato dai risultati ottenuti che attestano un significativo “affaticamento” dei motori verdi dei due continenti e a pochi mesi dalla Cop25 – la Conferenza sul clima tenutasi a Madrid lo scorso dicembre – questo studio riporta l’attenzione sul tema dell’emergenza ambientale legata all’esubero di CO2 nell’atmosfera.

Una vera sfida quella intrapresa dai ricercatori di 36 diverse nazioni che hanno analizzato il ritmo di crescita e il tasso di mortalità di 300mila alberi. «Cinque persone impiegano anche più di quattro giorni per misurare il diametro e l’altezza dei 600 alberi presenti mediamente in un ettaro di foresta – racconta Hubau che ha partecipato attivamente al censimento – noi lo abbiamo fatto in 565 zone forestali, raggruppate nei network di osservazione dell’African Tropical Rainforest Observatory e dell’Amazon Rainforest Inventory».

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