Search for content, post, videos

Il cinema amatoriale come bene culturale, per una lettura pop delle città

Archeologia urbana cinematica. Sotto la lente dei film di famiglia, l’intervista a Paolo Simoni, direttore dell’archivio di Bologna


Le città riprese dal basso, camminando, raccontate da chi ci vive e da chi, idealmente, le costruisce. Se Jane Jacobs parlava della “strada” come locus della vitalità degli ecosistemi urbani, punto di vista secondo lei privilegiato per urbanisti e pianificatori per capire come disegnare una città, nel caso dei film di famiglia o home movies il punto di vista è quello della lente (in tutti i sensi) dei suoi abitanti. Fotogrammi che ritraggono la vita domestica e le occasioni di socialità negli anni ‘50 e ‘60, oppure veri e propri film di famiglia dagli anni ‘70 in avanti, fino ad oggi, passando dalle video-cassette degli anni ‘80 agli odierni supporti digitali. Testimonianze non sempre accettate dal tradizionale approccio storiografico, basato su fonti storiche certe, ma che rappresentano un contributo importante per preservare la memoria storica di intere città, aree, quartieri, sempre con un occhio “dal basso”. Materiali che soprattutto contribuiscono ad arricchire l’immaginario urbano, e a preservarne identità, cultura, tessuto sociale e relazioni umane. «Gli studi che intersecano cinema, paesaggio, architettura e città sono tanti, e ricchi di suggestioni teoriche e trasversali – scrive Paolo Simoni, direttore dell’Archivio nazionale del film di famiglia di Bologna, nel volume Lost Landscapes. Il cinema amatoriale e la città –. Eppure, le immagini amatoriali nelle rappresentazioni del panorama urbano sono rimaste a lungo trascurate». È tempo quindi, spiega ancora l’autore, di immergersi in una “cinematic urban archaeology” (archeologia urbana cinematica) che possa spiegare genesi e trasformazioni dei territori.


In altre parole, «la ricerca parte dalla convinzione che il film amatoriale d’archivio possa trasformarsi in un sorprendente dispositivo di visione del paesaggio urbano» che possa legare questi distinti pezzi e frammenti in un archivio, per arrivare anche alla creazione di una “città amatoriale”.


Ma come sono e, soprattutto, come si raccolgono questi fonti? Simoni spiega che l’idea nasce 20 anni fa, con la costituzione dell’associazione Home Movies, nata per conservare e diffondere questi materiali, che oggi formano l’archivio più importante d’Italia per i film di famiglia, ospitato dentro l’Istituto storico Parri di Bologna. «La nostra attività è data dalla consapevolezza della mancanza in Italia di questi film – spiega a Pantografo Magazine Simoni –. Ci siamo ispirati a precedenti esperienze sia in Europa che negli Stati Uniti, realizzate però in modo molto diverso. In Italia non c’era nulla quando siamo nati noi e c’era anche un completo disinteresse – continua – oltre a scarse conoscenze. Non c’era neppure l’attrezzatura adatta». «Il nostro lavoro è nato dove non c’era niente – prosegue Simoni – abbiamo sviluppato anche delle stesse metodologie di restauro appoggiandoci a partner istituzionali e laboratori». Un progetto che ha portato l’archivio ad arrivare a raccogliere 30mila elementi, quasi tutti su supporti originali costituiti da pellicole in formato ridotto (8mm, super8, 16mm, 9,5mm Pathè Baby) degli anni Venti fino gli anni Ottanta, oltre a pellicole 35mm e a diversi audiovisivi su supporti magnetici video e audio.


«Abbiamo puntato sull’idea di un film come bene culturale, e nello specifico il film amatoriale come un bene da conservare» spiega ancora Simoni.


Nel caso specifico delle città, «una delle forme sperimentali è stata l’idea di raccogliere i film di un territorio affinché questo venisse poi raccontato attraverso di essi, con proiezioni dentro le diverse comunità che li abitano». Un processo nato dal basso, dagli stessi quartieri.


«Il principio era di portare i film dove erano stati girati e di farli vedere alla gente. I luoghi erano così legati ai film che li mostravano» e che ha successivamente portato a raccogliere materiale da tutto il territorio nazionale.


Un ultimo aspetto, non meno rilevante, è la (ri)creazione, attraverso le proiezioni collettive che l’archivio spesso organizza, di un ulteriore livello di narrazione dato dal momento di fruizione condivisa, di scambio e di incontro, che per ovvi motivi può avvenire solo attraverso il tema della pellicola. E tra i progetti di diffusione dei materiali conservati nell’Archivio e organizzati da Home Movies rientrano Archivio aperto, del quale si è appena conclusa la XXII edizione, quest’anno interamente online, e “Memoryscapes. Il cinema privato online”, la prima piattaforma digitale dedicata ai film di famiglia italiani.

Attenzione però a pensare che l’archivio sia semplicemente un luogo di catalogazione e conservazione, lo scopo è al contrario quello di coadiuvare la diffusione di queste fonti, sia al pubblico che nell’ambito della ricerca, affinché siano restituite alle comunità e contribuiscano a plasmarne la memoria. E materiale dell’archivio viene utilizzato anche nella creazione di nuove sperimentazioni cinematografiche, come nel caso de “Il varco”, acclamato documentario di Michele Manzolini e Federico Ferrone, che traccia una linea ideale tra le immagini d’archivio girate durante la campagna di Russia del 1941 e il recente conflitto in Ucraina. Presentato in concorso a Venezia l’anno scorso, è stato recentemente insignito dell’oscar europeo per il cinema (Efa), non a caso per il miglior montaggio, premio andato a Maria Fantastica Valmori.

In questo solco si inseriscono anche le varie iniziative che periodicamente si tengono in tutta Italia di raccolta e archiviazione dei film di famiglia, che vengono poi digitalizzati e messi a disposizione della cittadinanza. A Torino e a Ravenna sono ancora in corso due progetti di questo tipo: uno è Beeloved, organizzato dal community hub di Beeozanam, nella zona nord del capoluogo piemontese, che sta raccogliendo video dei quartieri di Madonna di Campagna e Borgo Vittoria per creare dei Diari di comunità, che saranno poi digitalizzati con il supporto di uno dei più importanti archivi italiani di questo tipo, l’Archivio nazionale del cinema d’impresa di Ivrea. Si potranno portare video e fotografie fino al 22 dicembre. Un secondo si sta svolgendo a Ravenna, con l’iniziativa Srotola la tua memoria, che terminerà il 16 gennaio 2021, e che invece ha come focus l’intera città e in particolare la Darsena e il quartiere Lanciani-Gulli.

Simili raccolte sono state organizzate lo scorso anno, tra Milano e Torino, per raccontare per esempio la storia delle famiglie ebraiche italiane, ma ci sono anche altre realtà oramai consolidate, come la manifestazione Analogica di Bolzano, Re-framing home movies #3 / Residenze in archivio, un vero e proprio percorso di formazione e produzione con masterclass e residenze, promosso da vari enti tra i quali la Cineteca Sarda, Lab 80 film – Cinescatti di Bergamo e Superottimisti di Torino. Non da ultimo, il progetto “Memorie animate di una regione. Raccolta, digitalizzazione e riuso di film amatoriali del Friuli-Venezia Giulia”, che opera con il supporto del laboratorio di restauro “La Camera Ottica – Università degli Studi di Udine” nella sede di Gorizia.

Immagine di copertina: Cilento – Courtesy of Archivio nazionale del film di famiglia, Bologna

©RIPRUDUZIONE RISERVATA

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per offrirti una migliore esperienza di navigazione. Accedendo a questo sito, chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi