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Turismo: per la ripresa serve una lente multidisciplinare che va dal progetto, al marketing alla capacità di fare impresa

Attenzione a modernizzare ma senza distruggere le comunità delle aree interne trasformandole in parchi giochi


Parlare di turismo in questa fase della storia umana dominata dal Covid19 è decisamente complicato, in particolare in Italia. Il motivo è chiaro: si tratta di un settore che, fino a un anno fa, garantiva occupazione a milioni di cittadini, oltre a generare un giro d’affari diretto e indiretto pari a più del 13% del nostro Pil. Ecco quindi che dalla decisione del governo di tenere chiusi gli impianti sciistici in tutta Italia, a poche ore dalla loro riapertura che era stata fissata al 15 febbraio, siano scaturite numerose polemiche, con richieste di sostegno da parte delle associazioni di categoria per far fronte a questo ennesimo stop. Il tutto mentre, non più di un giorno prima, il neopresidente del Consiglio Mario Draghi aveva mostrato di considerare centrale il settore istituendo per la prima volta un ministero a sé stante proprio per il turismo. Un approccio che potrebbe apparire come schizofrenico, dettato invece dalla necessità di guardare al futuro evitando di amministrare le sole emergenze e ritrovarsi a rialzare lo sguardo più avanti e scoprire di essere circondati dalle macerie del nostro sistema economico.

Volterra ©Rudy and Peter Skitterians

Vista e considerata la situazione ricca di criticità, da quali basi ripartire? In futuro torneremo certamente a viaggiare, ma quali sono le tendenze accelerate dalla pandemia su cui gli operatori del settore dovranno necessariamente puntare? Considerando per assodato il cambiamento dei contenuti, assisteremo anche alla nascita di nuovi contenitori? Domande attuali e a cui è possibile rispondere solo attraverso una lente multidisciplinare e in grado di spaziare dalla promozione del territorio, alla progettazione, fino alla capacità di fare impresa.

Basti guardare alla massiccia diversificazione, pochi anni fa impensabile, che sta vivendo il comparto dell’hospitality. Non più “solo” hotel, bed&breakfast e ostelli, ma oggi troviamo i glamping, i condo hotel, gli alberghi diffusi, i relais e i centri detox, solo per citarne alcuni. Un dato accomuna tutte queste tipologie, la voglia di chi viaggia di vivere delle esperienze in un contesto di benessere.

«Oggi più che mai, per riuscire ad emergere è necessario puntare sulla qualità dell’offerta» Fiorello Primi

«L’estate scorsa tanti italiani hanno deciso di riscoprire le proprie radici senza andare troppo lontano, magari per un fine settimana nel borgo, dove sono originari» ha spiegato il presidente dell’associazione Borghi più belli d’Italia, durante il primo appuntamento del ciclo “Future trends in hospitality design” organizzato da Guest Magazine by Contract Network. «E se è vero che il cosiddetto turismo di prossimità ha vissuto un vero e proprio boom nell’estate 2020, le rilevazioni Istat del 2019 segnalavano come i numeri siano importanti, anche se non paragonabili a quelli delle grandi città. I nostri borghi piacciono molto anche ai visitatori stranieri, un appeal figlio anche di un accordo di promozione che come associazione abbiamo stretto con l’Enit (Ente nazionale del turismo)». Opportunità di rilancio nel breve periodo? «Momento difficile – ha sottolineato Primi – ma non dobbiamo assolutamente sprecare l’occasione del Recovery Fund che si può rivelare uno strumento fondamentale per creare occupazione. C’è già un capitolo importante sulla rigenerazione urbana nei nostri piccoli centri. Servirà però attenzione a modernizzare senza distruggere le comunità delle aree interne, trasformandole così in parchi giochi per turisti».

Un patrimonio costruito unico al mondo e da valorizzare quello dei nostri borghi, ma quali sono le linee d’intervento da seguire per evitare di snaturare i luoghi? A spiegarlo è Antonio Rodriguez, designer & co-owner dello studio Matteo Thun & Partners, una delle realtà italiane più note quando si parla di architettura e di design per l’accoglienza. «A nostro avviso se guardiamo al rapporto fra qualità, impatto sul territorio e sul patrimonio, il modo migliore per portare l’hospitality nei borghi è quello degli alberghi diffusi. Più in generale, invece, la tendenza già in essere e accelerata enormemente dalla pandemia, era quella di spazi pubblici sempre più contactless. La tecnologia ci permette di non toccare gli oggetti e allo stesso tempo di usarli, inoltre ora si guarda anche alle proprietà antibatteriche dei materiali. Non bisogna mai dimenticarsi però di bilanciare l’innovazione e la bellezza identitaria di un luogo. La nostra progettazione – ha ricordato Rodriguez – si basa su ambienti accoglienti, invasi di verde e dove indoor e outdoor si mescolano. Tutte scelte mirate a rilassare le nostre menti stressate che, in particolare in questo periodo, hanno bisogno di riprendere stabilità».

«Il ruolo del genius loci è centrale per il nostro modo di disegnare l’architettura: prima dobbiamo capire dove siamo, in particolare se parliamo di borghi storici» Antonio Rodriguez

Quando si parla di spazi ricettivi in contesti così peculiari, per evitare di realizzare edifici fuori scala sinonimo di un tipo di turismo di massa foriero di appiattimento dell’offerta culturale e spopolamento, «la progettazione – ha raccontato Rodriguez – passa anche dall’utilizzo delle tecniche costruttive del luogo. Ci piace usare materiali locali e naturali in senso stretto. Il marmo, ad esempio, lo è in teoria, ma il suo impiego ha portato alla distruzione di intere montagne».

Centralità dell’individuo e attenzione alla sostenibilità rimangono quindi due fattori chiave per il rilancio. E se spesso ci si chiede se l’obiettivo sia quello di tornare alla situazione pre-pandemia, oppure di guardare ad un nuovo modello di sviluppo che porti benessere anche nelle zone meno battute dai flussi mainstream, Antonino Rainò, head of marketing and communication di Wonderful Italy, ha le idee chiare. «La pandemia ha portato ad una forte battuta d’arresto per l’ospitalità di comunità. La nostra doppia anima, divisa fra le attività di property manager e tour operator, ci ha portato ad affrontare la crisi del settore da una posizione favorevole. Al momento abbiamo circa 600 immobili in gestione e forniamo oltre 300 tipologie di esperienze che vanno dall’enogastronomia, allo sport, alla cultura. Un’offerta che nel 2020 si è rivelata essere un mix fortunato perché la possibilità di poter soggiornare in una casa è stata molto apprezzata. In Italia – ha evidenziato Rainò – il turismo esperienziale che ha più seguito è quello legato al reparto food, ma ora i clienti sono più selettivi. C’è maggiore attenzione alla composizione delle attività. In particolare, oggi si preferiscono gruppi piccoli per momenti privati, quasi personali. Si va dal cuoco a domicilio, alla cooking class di ricette tradizionali presso l’alloggio, fino ai walking tour in città e nella natura». D’altronde non c’è niente di più slow che girare un territorio a piedi.

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