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Smart city: Milano, Bologna e Torino le eccellenze italiane

Lo evidenzia una ricerca curata da Ernst & Young sui centri urbani a misura d’uomo


La tecnologia non basta a fare una smart city. Quel che davvero conta è come l’innovazione può migliorare la vita dei cittadini. Questo il parametro numero uno per Ernst & Young che ha realizzato la prima mappa italiana delle “Human smart city”, le città tecnologiche a misura d’uomo. Disponibilità di servizi digitali, progetti votati al green per migliorare la qualità ambientale e inclusione sociale: queste le tre variabili principali prese in esame; fra le voci che hanno contribuito a stilare la classifica anche la possibilità di fare smart working tenendo conto della disponibilità di banda ultra larga e la capacità dei territori di attrarre aziende e talenti. Ma sono ben 456 gli indicatori analizzati per mettere a punto il ranking nazionale dei 109 capoluoghi di provincia.

Milano, Bologna e Torino le città sul podio: «Va sottolineato che queste tre sono le prime ininterrottamente dal 2014, con posizioni spesso invertite. Rappresentano le città che hanno saputo interpretare le innovazioni e la loro continua evoluzione, primeggiando con tutti i modelli di riferimento via via adottati da E&Y per capire la smart city e le sue dinamiche», si legge nel report in cui si puntualizza che quest’anno gli indicatori sono stati suddivisi in due macro-categorie: Readiness (iniziative e investimenti pubblici e privati degli stakeholder, al fine di rendere disponibili infrastrutture e servizi) e Comportamenti dei cittadini. I tradizionali indicatori green e digital, da sempre presenti nello Smart city index, sono stati inoltre riorganizzati per cogliere le dinamiche delle transizioni digitale ed ecologica, che rappresentano i principali driver delle politiche di innovazione a livello europeo e anche le principali voci nell’ambito del Pnrr.

Nella top ten si piazzano dal quarto posto in poi Trento, Parma, Bergamo, Padova, Brescia Venezia e Firenze. Resta fuori Roma, dodicesima, e ancor più in basso Napoli e Bari al 34° e 36° posto. La prima piccola città in classifica (al di sotto degli 80.000 abitanti) è Pordenone (21°posto), seguita da Pavia (24°), Mantova (26°), Cremona (30°) e Cuneo (35°).  La prima città del Sud è Cagliari (19°posto).

«La pandemia ed il climate change hanno messo in discussione il rapporto tra città ed abitanti. Se è vero che la crisi legata al covid ha rimesso al centro dell’attenzione la casa, in realtà i cambiamenti maggiori hanno riguardato i luoghi di lavoro e per alcune città quelli del turismo – si legge nel report –. Il maggior cambiamento è destinato ad interessare i centri medi e piccoli situati intorno alle grandi metropoli, fino ad ora caratterizzate da pendolarismo quotidiano. Per queste città lo smart working, anche parziale, può rappresentare la possibilità di recuperare una parte della popolazione attiva, trattenendola sul territorio». Secondo gli analisti i centri che saranno più capaci e più veloci nel riprogettarsi e nel riqualificare gli spazi tra uffici e residenziale diventeranno più attrattivi perché forniranno la flessibilità che le nuove professioni “ibride” ricercano. E la riqualificazione dei luoghi sarà accelerata dai nuovi business: i centri economicamente più dinamici, in cui cioè nascono più nuove aziende, start-up, imprese digitali e creative, avranno maggiori spunti per la riqualificazione. Non solo: la maggiore flessibilità chiesta da cittadini e lavoratori impone anche una riflessione sui cosiddetti spazi duali: la “human city” è diffusa e inclusiva, ricca di luoghi culturali e per il tempo libero, distribuiti nel tessuto urbano e pertanto molto più accessibili.

Foto in copertina: Piazza Maggiore vista dalla Torre degli asinelli a Bologna. © Luca Volpi

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