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Inge Morath, ricordando la prima fotografa Magnum

A Cagliari fino al primo ottobre la grande retrospettiva italiana per il suo centenario


Fu tutta colpa di un viaggio di nozze a Venezia nel 1951. L’austriaca Inge Morath iniziò a scattare fotografie in Laguna anche se all’epoca era solo una segretaria dell’agenzia fotografica Magnum. Furono proprio Robert Capa e Henri Cartier-Bresson, i fondatori della famosissima “casa della fotografia”, a notare il suo talento nascosto in quelle immagini improvvisate fatte tra campi e canali. «Andavo in giro per ore senza meta, ossessionata dalla gioia di scoprire i luoghi», raccontò. Il canone di Morath, che aveva fatto una scelta di campo, era quello di non fotografare la guerra, ma scene di vita quotidiana per dedicarsi esclusivamente alle persone.


Fino al primo ottobre a Cagliari, nelle sale trecentesche di Palazzo di Città, la grande retrospettiva italiana su Morath (Graz, 1923 – New York, 2002), la prima fotografa a entrare a far parte della celebre agenzia.


L’iniziativa cade in occasione delle celebrazioni per il suo centenario che hanno coinvolto prima Monaco di Baviera e poi Venezia.

Attraverso oltre 150 immagini e documenti originali, l’esposizione, curata da Brigitte BlümlKaindl e Kurt Kaindl, ripercorre il cammino umano e professionale di Morath, dagli esordi al fianco di Ernst Haas ed Henri Cartier-Bresson fino alla collaborazione con prestigiose riviste quali Picture Post, Life, Paris Match, Saturday Evening Post e Vogue, attraverso i suoi principali reportage di viaggio, che preparava con cura maniacale, studiando la lingua, le tradizioni e la cultura di ogni paese dove si recava, fossero essi l’Italia, la Spagna, l’Iran, la Russia, la Cina.

Il celebre marito, il drammaturgo Arthur Miller, rivelò in uno scritto l’identità più profonda dell’autrice legandola a un concetto di confine che si riflette nell’intera sua opera. Nell’idea di confine lei sembrava aver trovato la complessità della propria esistenza. Il confine è la fine di qualcosa ma anche l’inizio, la fuga e l’ingresso, il desiderio di dimenticare e la necessità di ricordare. Era un territorio spirituale più che fisico, e la sua delicatezza, il suo tocco di eterno può essere intravisto in molte delle sue fotografie.

Nel lavoro di Morath una particolare attenzione viene rivolta al ritratto delle persone. Che si trattasse di gente comune o personaggi celebri del mondo della cultura il suo interesse era identico e s’indirizzava sempre verso l’intimità di ciascuno. Le sue immagini sono pagine del suo diario di vita, come lei stessa ha scritto: «La fotografia è essenzialmente una questione personale: la ricerca di una verità interiore».

Il percorso espositivo dà conto di questa sua inclinazione, presentando alcuni dei suoi reportage più famosi, come quello realizzato a Venezia, con immagini colte in luoghi meno frequentati e nei quartieri popolari della città lagunare, che sposano la tradizione fotografica dell’agenzia Magnum di ritrarre persone nella loro quotidianità.

Nelle sue foto emerge sempre una componente di vicinanza, non solamente fisica, ma soprattutto emotiva. Il suo è un lavoro diretto, privo di zone d’incertezza o di mistero. Un approccio sistematico ed analitico che la spingeva, prima di ogni lavoro, a studiare e approfondire le culture con cui si sarebbe rapportata, per arrivare così a conoscere sette lingue.

L’itinerario di Morath prosegue in Spagna, paese che visitò spesso e di cui conosceva la lingua, fin dal 1954 quando venne incaricata di riprodurre alcuni dipinti per la rivista d’arte francese L’Oeil e di ritrarre la sorella di Pablo Picasso, Lola, spesso restia a farsi fotografare. Ma anche la Romania comunista, la natia Austria, il Regno Unito.

Non poteva mancare una sezione dedicata a Parigi, uno dei luoghi del cuore di Morath. Essendo la più giovane collaboratrice dell’agenzia, nella capitale francese le venivano affidati lavori minori come sfilate di moda, aste d’arte o feste locali. Anche in questi scatti emerge chiaramente il suo interesse per gli aspetti bizzarri della vita quotidiana.

Il viaggio nel lavoro di Morath continuò in Iran, dove riuscì ad approfondire la conoscenza di quella regione, muovendosi all’interno della dimensione femminile e cogliendo il rapporto fra le vecchie tradizioni e le trasformazioni innescate dalla moderna società industriale in una nazione fortemente patriarcale, e si chiuse idealmente a New York

Dopo il matrimonio con Miller, conosciuto nel 1960 sul set del film Misfits dove recitava Marylin Monroe all’epoca legata allo scrittore, nel 1962 Morath si trasferì infatti in una vecchia e isolata fattoria a Roxbury, a circa due ore di auto da New York. Un luogo di campagna lontano dalla frenesia della città, dove crebbe i suoi due figli Rebecca e Daniel.

Il sogno di Morath fu sempre quello di visitare la Russia. Si avvicinò a questo paese studiandone la cultura e imparandone la lingua prima del suo primo viaggio, avvenuto nel 1965, in compagnia di suo marito Miller. Da quel viaggio nacque un ampio lavoro fotografico che negli anni successivi si arricchì da altro materiale raccolto in altre occasioni.

La mostra dà inoltre ampio spazio al ritratto, un tema che l’ha accompagnata per tutta la sua carriera. Da un lato era attratta da personaggi celebri, quali Igor Stravinsky, Alberto Giacometti, Pablo Picasso, Jean Arp, Alexander Calder, Audrey Hepburn, dall’altro dalle persone semplici incontrate durante i suoi reportage.

Una sezione propone, inoltre, la serie di curiosi ritratti mascherati nati dalla collaborazione con il disegnatore Saul Steinberg che risalgono al suo primo viaggio a New York, durante il quale conobbe la produzione artistica del disegnatore statunitense, rimanendone entusiasta.

In copertina: Autoritratto, Israele 1958, ©Inge Morath

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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