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Amazon Go apre a Seattle: negozio intelligente senza casse ma pieno di telecamere

Basterà passare lo smartphone su un dispositivo elettronico per entrare nel nuovo supermercato Amazon Go, allo stesso modo in cui si passa la tessera dell’abbonamento della metropolitana all’ingresso, o la carta d’imbarco al check in dell’aeroporto. Il primo store senza casse del colosso dell’e-commerce è stato inaugurato il 22 gennaio a Seattle, nella città dove la società ha la sua sede principale: uno spazio di 167 mq di superficie, aperto dal lunedì al venerdì dalle 7 alle 21, dove poter trovare beni di prima necessità.

Un minimarket come molti altri, in linea con il modello dei “convenience store”, punti vendita di piccole-medie dimensioni, come quelli della catena 7-eleven, ma con l’eccezione che qui i cassieri sono sostituiti da un sofisticato sistema composto da un centinaio di videocamere e sensori distribuiti in tutto lo spazio e danno vita alla tecnologia definita da Amazon “Just Walk Out” (basta uscire). Grazie a questo strumento è possibile rilevare automaticamente quando vengono prelevati i prodotti e quando vengono posati nuovamente sugli scaffali, tenendone traccia in un carrello virtuale, senza dover scannerizzare alcun codice a barre, come già accade invece in molti supermercati. “Quando hai finito lo shopping – spiegano da Amazon – puoi lasciare il negozio. Poco dopo, ti invieremo una ricevuta e il costo verrà addebitato direttamente sul tuo account”.

“Nessuna fila, nessuna cassa” è lo slogan del punto vendita di ultima generazione, che per essere precisi non prevede nemmeno carrelli dove mettere i prodotti. Tutto infatti viene messo dai clienti direttamente nella loro borsa personale. “Questa nuova esperienza di shopping – spiegano da Amazon – è resa possibile dagli stessi tipi di tecnologie utilizzate nelle auto a guida autonoma: percezione video avanzata, fusione sensoriale e intelligenza artificiale”.

Amazon Go non è però completamente privo di personale: ci sono infatti dei commessi che si occupano della preparazione dei cibi in vendita, della sistemazione degli scaffali e della sicurezza.

L’Amazon Go di Seattle, AP Photo/Elaine Thompson

L’apertura era prevista a marzo 2017, ma alcune problematiche di tipo tecnico hanno fatto posticipare l’inaugurazione a gennaio 2018: secondo alcune interviste rilasciate al Wall Street Journal da alcuni professionisti coinvolti nel progetto, il sistema informatico del negozio aveva dei problemi a gestire più di 20 persone contemporaneamente. Ieri invece tutto ha funzionato alla perfezione. “Ho provato a prendere un oggetto, poi riposizionarlo, e a infilare velocemente in borsa una confezione di fazzoletti, per testare il sensore anche di fronte a eventuali furti – ha raccontato Mark Harris, corrispondente da Seattle per il The Guardian, e tra i primi clienti di Amazon Go -.  Non sono riuscito a trarre in inganno il negozio. L’app una volta uscito mi ha dato il totale correto di ciò che avevo acquistato, dicendomi anche quanti minuti avevo speso nello store”.

Non sono ancora chiari i piani di espansione del progetto, ma sono già numerose le polemiche, soprattutto per l’eventuale perdita di posti di lavoro nel settore e per la presenza delle telecamere che riescono a tracciare le scelte di acquisto dei consumatori, cosa che è comunque già ampiamente sperimentata con gli acquisti online.

Alcune osservazioni arrivano in particolare da Om Malik, giornalista e fondatore di GigaOm, società di nuove tecnologie per l’informazione e per l’analisi dei dati. Malik sostiene infatti che Just Walk Out non sia nulla di particolarmente innovativo. “Le compagnie cinesi – scrive sul suo blog – hanno strumenti molto più avanzati di quelli presentati da Amazon, e stanno lavorando su più ampia scala grazie alla maggior quantità di dati a loro disposizione, provenienti principalmente dai telefoni cellulari”.

Malik si sofferma inoltre sulle conseguenze sociali di un’eventuale espansione di Amazon Go. “Gli Stati Uniti dipendono molto dai posti di lavoro nel settore della vendita al dettaglio e del terziario e in questo momento non abbiamo altre opzioni professionali per questa parte della società, che viene così spinta in quella che in passato era considerata la sottoclasse delle economie del terzo mondo”.

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