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Rivitalizzazione dei borghi: teoria o realtà? La lezione di Gromo e Santa Fiora

Touring Club Italiano e Politecnico insieme nel progetto bandiere arancioni


L’anno della pandemia è sicuramente stato l’anno della rinascita, se non concreta almeno teorica, dei borghi italiani. La rivitalizzazione delle aree interne è stata al centro della discussione negli ultimi mesi, sia per la ricerca di migliore qualità di vita da parte di chi vive nelle grandi aree urbane, conseguenza dei prolungati lockdown, sia per la possibilità di svolgere il lavoro agile da queste zone. Inoltre, la versione definitiva del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) del Governo Draghi destina oltre 6 miliardi di euro a turismo e cultura, parte dei quali andranno proprio alla rigenerazione dei borghi con interventi di promozione e rilancio del turismo, con la valorizzazione del patrimonio artistico-culturale e la modernizzazione delle infrastrutture materiali e immateriali.

Santa Fiora, peschiera. Ph. © IDO VETULI

Ma il tema delle aree interne non nasce solo con il Next Generation Eu, ha sottolineato Giulio Lattanzi, direttore generale del Touring Club Italiano (Tci), spiegando quanto venga da lontano, con il Piano strategico per il turismo 2017-2022, con l’Anno dei borghi, le politiche della Strategia nazionale per le aree interne e la legge Salva borghi, varata sempre nel 2017.

Ed è lo stesso Tci che sta portando avanti, insieme all’architetto Stefano Boeri e al Politecnico di Milano, un progetto di rivitalizzazione dei borghi partito ancora prima della pandemia. «La cosa che è a me è parsa più interessante – ha detto Lattanzi intervenendo a un evento con lo stesso Boeri nell’ambito del Bit Milano 2021, la fiera dedicata al turismo che quest’anno si sta svolgendo interamente in digitale – è quella di governare i processi. È per questo che abbiamo voluto ragionare con Boeri e con il Politecnico per capire come il ri-abitare i piccoli centri dell’entroterra in una logica coordinata inevitabilmente si possa trasformare in un’opportunità per il turismo».

Ci siamo sforzati di costruire un percorso sperimentale che potesse verificare in concreto di cosa ci fosse bisogno, gli attori, come metterli intorno a un tavolo e come realizzare questa reciprocità

Giulio Lattanzi, direttore generale Touring Club Italiano

Reciprocità che è la parola chiave di questo rapporto tra grandi centri urbani e aree interne, che non significa «abbandono delle città», come ha spiegato Boeri nel suo intervento, ma, anzi, di «come si può trovare un’alleanza tra il recupero di piccoli centri che tornano a essere vissuto come piccole città». «Le città devono rendersi conto – ha proseguito – che per ricevere aria pulita, l’acqua potabile e una migliore qualità del cibo, devono dare garanzie di inserire chi fa questa scelta di vita nei circuiti dell’economia, del commercio, della formazione, del sapere intellettuale».

Facendo leva anche sull’esperienza del Tci, che da 23 anni con il programma Bandiere arancioni promuove e certifica, attraverso 250 indicatori, l’attrattività turistica delle aree interne, con un’attenzione particolare al turismo sostenibile, al mantenimento della qualità della vita per i residenti e alla tutela dell’ambiente, questo progetto con il Politecnico dovrebbe, nelle parole di Lattanzi, dare «la possibilità di disegnare un percorso di crescita e di miglioramento dell’attrattività» anche in chiave lavorativa e residenziale.

Gromo, veduta del borgo. Ph. © Luca Santese

Un circuito di eccellenza di cui fanno già parte anche i comuni di Gromo e Santa Fiora, rispettivamente in Val Seriana (Bergamo) e in provincia di Grosseto, che, con una serie di progettualità e di iniziative pubbliche, stanno cercando attivamente, da una parte, di fermare lo spopolamento e, dall’altra, di diventare centri di attrazione turistica che possano accogliere anche famiglie e lavoratori agili. E se la sindaca di Gromo, Sara Riva, spiega come l’anno della pandemia abbia riportato in paese (oggi 1.200 abitanti) studenti universitari in didattica a distanza, residenti e proprietari di seconde case in smart working, la preoccupazione è che rimanga una tendenza temporanea che si esaurirà una volta che la situazione sarà tornata alla normalità, soprattutto se le criticità emerse, come la mancanza di una rete a banda larga, continueranno nel tempo. Per questo, aggiunge, le proposte del Politecnico, che in parte sono state fatte proprie dall’amministrazione comunale e che prevedevano «la realizzazione di centri benessere, per la salute, concerti e mostre all’interno di padiglioni immersi nella natura, la riqualificazione di spazi per luoghi di incontri e la nascita di percorsi naturalistici ed enogastronomici», sono state incluse in un progetto presentato alla Regione Lombardia per una richiesta di finanziamento.

Diversa invece l’esperienza di Santa Fiora sul Monte Amiata, già rilanciata come Smart working village, che ha messo in campo diverse misure, tra le quali concreti sostegni economici alle famiglie che vogliono trasferirsi lì, e che mira ad attrarre anche aziende che intendono delocalizzare fuori dai grandi centri urbani, grazie al fatto che il Comune era già stato inserito nel 2019 nella fase 1 della realizzazione della banda ultra larga da parte della Regione Toscana, come ha spiegato il sindaco, Federico Balocchi.

Non dobbiamo solo puntare alle persone singole in smart working, ma traghettarci verso un’inversione di tendenza per portare qui imprese, come per esempio nei servizi amministrativi. Invece che delocalizzare in Romania, si può delocalizzare qui

Federico Balocchi, sindaco di Santa Fiora

Santa Fiora, peschiera e rupe lavica. Ph. © Ido Vetuli

Un progetto che da gennaio ha visto un operatore del contact centre aprire una sede a Santa Fiora, impiegando 22 persone. «Ma l’obiettivo è arrivare a 50» continua il sindaco, che ha poi aggiunto, «noi offriamo servizi maggiori a quelle delle città, per esempio lo scuolabus, un nido di eccellenza a massimo 200 euro al mese, una ludoteca, nido e materna estive. Sosteniamo le famiglie con ragazzi fino alla maggiore età». Ma soprattutto, il comune offre un sostegno pari al 50% del canone d’affitto per 6 mesi, poi le persone possono decidere se rimanere o no.

Altri i progetti in programma, come la riconversione di una struttura in un coworking per i lavoratori agili e in un incubatore d’impresa per attrarre start up («ma bisognerebbe trovare un buon architetto per realizzarla!» ha scherzato il primo cittadino). Ma qual è la capacità portante di questo borgo, che oggi conta 2.500 anime? «In passato eravamo circa 10mila abitanti. La nostra capacità potrebbe tranquillamente arrivate al doppio o al triplo della popolazione attuale» per essere comunque sostenibile per tutti.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In copertina: Gromo, vista dall’alto. Ph. © Silverio Lubrini

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