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Stoviglie d’autore, storia di Vincenzo Del Monaco 

A Grottaglie le opere nel campo della ceramica artistica richieste dai grandi chef. Il segreto: mettere sempre in relazione l’oggetto e il paesaggio circostante


Piatti dalle linee contemporanee? Non vi stupite se dietro c’è il nome di un architetto, e per più di un motivo. Spesso la maggior parte di loro sono dei creativi a tutto tondo, capaci di dare forma non solo a una casa, a un museo o una cantina vinicola, ma anche a una teoria di oggetti dalle funzioni più svariate – dalle borse agli orecchini, dalle spille ai vestiti – creando dei veri e propri brand di successo. Molti di loro, poi, sono appassionati di cucina – non è un caso che anche questa sia frutto di una progettualità creativa – e lasciano la professione, a volte neanche la iniziano, per dedicarsi al mondo dei fornelli con l’obiettivo di aprire bistrot e ristoranti, ma anche attività commerciali nelle quali mettono in vendita il frutto della propria creatività. Accade più frequentemente di quanto si possa pensare. 

Quella di Vincenzo Del Monaco e delle sue stoviglie d’autore è una storia che racconta bene questa versatilità che certamente non è un’esclusiva degli architetti, ma che molto spesso li riguarda. Dopo essersi laureato in architettura nel 2006 presso La Sapienza di Roma, Del Monaco lavora per importanti realtà dello scenario progettuale nazionale e internazionale, per esempio per gli studi Fuksas di Roma e Coop Himmelb(l)au di Vienna. Appena tre anni dopo, tuttavia, decide di tornare al suo paese di origine, Grottaglie, con l’idea di sperimentare e di sviluppare un repertorio di opere nel campo della ceramica artistica basato sulla tradizione dell’artigianato e sui suoi possibili sviluppi futuri nel terzo millennio. Fin da piccolo, in effetti, aveva familiarizzato con l’arte della ceramica e con la scultura nella bottega di famiglia. Quell’atmosfera e quei ricordi gli erano rimasti nel cuore e a un certo punto, dopo tanti anni, non ha potuto fare a meno di ritornare in quel mondo portando con sé la cultura e la manualità che aveva nel frattempo maturato attraverso i suoi studi e le sue esperienze. 

Un piatto è come uno spazio urbano. Si parte da un tema narrativo per poi filtrarlo attraverso delle linee.

Vincenzo Del Monaco

«In questo mi aiuta la mia formazione di progettista – racconta Del Monaco –. Così, quando mi viene chiesto di realizzare un piatto, apro il cassetto della mia mente, dove custodisco i segni artistici o naturali che hanno colpito la mia immaginazione, e inizio a sviluppare delle superfici, come fossero dei processi architettonici. L’esperienza fatta con Fuksas mi aiuta anche quando devo pensare agli aspetti tecnici del tableware, come l’impilabilità, il passaggio in lavastoviglie, le dimensioni da avere in relazione alla tavola, la dimensione ultima da soddisfare. È lì che il concetto astratto viene a incontrare la materialità della location».

Le sue creazioni oggi riscuotono grande successo. E così, se prima lavorava accanto ad architetti di fama, adesso con la sua arte raggiunge i consensi e le commesse di importanti chef per i quali concepisce piatti e stoviglie capaci di dialogare con il cibo e con la filosofia del ristorante. Fra questi spicca il nome di Andrea Berton, lo chef stellato di origini friulane che, dopo essersi formato nei migliori ristoranti del mondo (Mosimann’s a Londra, Enoteca Pinchiorri a Firenze, Louis XV a Montecarlo), ha aperto il proprio e omonimo ristorante a Milano. Nel 2012, mentre era in viaggio Puglia, lo chef ha notato alcuni pezzi di Del Monaco e ha deciso di visitare la bottega. Da questo incontro è nata la proposta di dare vita a una selezione di oggetti per una “mise en place” innovativa che rispettasse lo stile della cucina dello chef. «Quando ha inaugurato il suo ristorante a Milano – racconta Del Monaco –, mi ha indicato il parco di fronte al locale in cui emergevano linee molto sinuose, simili a dune del deserto, concepite da Cino Zucchi, e mi ha detto: “Mi piacerebbe avere dei segnaposti simili”. Da lì è nata l’idea di mettere sempre in relazione l’oggetto e il paesaggio circostante». 

Da quel momento le sue creazioni sono state apprezzate da diversi chef stellati. Per Domingo Schingaro, chef dei Due Camini di Borgo Egnazia a Savelletri di Fasano, ha esaltato le tematiche della pugliesità attraverso le texture irregolare della pietra tufacea. In questa occasione ha dato vita al primo servizio di piatti “ricuciti” che mirano a interpretare i valori della cultura povera pugliese. E poi il “Vassoio Puglia”, un supporto in legno sagomato che ricorda la forma geografica della Puglia e che ospita sei contenitori (uno per ogni provincia) a cui appartiene una specialità tipica di ogni zona geografica.

Il successo del sodalizio tra gli chef e Vincenzo Del Monaco attira l’attenzione di Felice Sgarra di Casa Sgarra a Trani, di Angelo Sabatelli Ristorante a Putignano, di Antonio Zaccardi del ristorante Pashà a Conversano. Ancora, con Floriano Pellegrino e Isabella Potì di Bros’, a Lecce, lavora fra sperimentazione e provocazione, realizzando supporti per la piccola pasticceria, i piatti per i primi, ciotole e brocche. «Tra noi c’è una fiducia assoluta – spiega Del Monaco –. Sono loro che si adattano alle mie forme. L’unica condizione è “più strana è, meglio è” per mettere d’accordo l’estremo toccato con la loro ricerca gastronomica che va al di là del gourmet».

La creatività di Vincenzo Del Monaco non si ferma all’Italia e adesso vola verso Hong Kong, dove per il ristorante Estro dello chef stellato Antimo Maria Merone ha appena concepito un set completo di oltre seicento pezzi fra piatti, ciotole, piattini, porta olio, contenitore per caviale, posa posate e coppe di portata. Ma il pezzo forte della collezione sono le ciotole trilobate: realizzate in due dimensioni, portano sulla tavola d’Oriente un concetto estetico mediterraneo. Questa volta le creazioni di Del Monaco fanno parte anche dell’interior design: sulle pareti progettate da André Fu Studio compaiono anche delle foglie di porcellana

In questo momento Vincenzo Del Monaco è impegnato con il concept per “Crypta”, un piatto pensato per occultare il cibo alla vista. «In questi anni, attraverso le diverse collaborazioni, mi sono esercitato a pensare come un artista contemporaneo, cercando il senso nell’opposto, anche nella provocazione (…). Ribaltare i sistemi ordinari è un’eredità che mi porto dietro dallo studio Coop Himmelb(l)au di Vienna, attento al tema radicale della decostruzione architettonica. Ne è nata l’idea di un piatto che nasconda la preparazione, esattamente all’opposto di ciò per cui lo si usa».  

In copertina: Vincenzo Del Monaco(Foto: Diego Mariella) 

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