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Maidan tent, quando l’architettura è sinonimo di accoglienza

Il progetto di due giovani progettisti italiani ha dato vita ad uno spazio flessibile che permette ai profughi di esprimere la propria socialità e alle ONG di organizzare eventi


«Sono un cittadino, non di Atene o della Grecia, ma del mondo». Così si esprimeva Socrate, uno dei filosofi più conosciuti dell’antichità, oltre duemila quattrocento anni fa. Una citazione calzante nel nostro caso, non solo da un punto di vista geografico, ma anche concettuale. È proprio a principi come questo, infatti, che si rifanno i tanti volontari che negli ultimi anni si sono impegnati anima e corpo per aiutare le centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini in arrivo dalla Siria e dall’Iraq in cerca di fortuna. O meglio, di un posto dove poter vivere senza rischiare ogni giorno di morire sotto le bombe di una guerra che solo da pochi mesi ha iniziato a diminuire di intensità.

Fra loro anche Bonaventura Visconti di Modrone (ABVM studio) e Leo Bettini Oberkalmsteiner, due giovani e tenaci architetti italiani che hanno costruito un team intorno ad un progetto ambizioso. Quale? Quello di fornire agli ospiti del campo profughi di Ritsona (nord della Grecia) un luogo dove poter esprimere la propria socialità, evitando di vivere le proprie giornate in un limbo senza prospettive. Dopo due anni di vicissitudini burocratiche e progettuali, nel novembre del 2018 ha preso forma il primo prototipo di Maidan Tent. Trattandosi di un’iniziativa guidata da volontari, i finanziamenti sono stati ottenuti tramite crowfunding. La bontà dell’operazione però, ha fatto sì che oltre a diverse ONG abbiano supportato il progetto nomi importanti come ARUP (fra le prime società di ingegneria al mondo) e l’Università Bocconi di Milano.


Tre le parole chiave per descrivere il progetto: partecipazione, socialità e flessibilità


Da qui si sono mossi i due architetti italiani poco più che trentenni che hanno ideato la struttura. «Grazie ad un’operazione presso un orfanotrofio ad Haiti alla quale ho lavorato immediatamente dopo la laurea – spiega Visconti di Modrone – ho appreso diversi concetti necessari per riuscire ad inserirmi in maniera efficace in contesti difficili. Primo fra tutti, la necessità di concentrarsi sul rapporto fra spazio e i piccoli utenti. Ma anche la presenza di una pluralità di ambienti, in grado di concedere tanto la privacy quanto aree dove stare insieme. Quando ho visitato il campo di Ritsona per la prima volta, ho trovato una situazione molto complicata. Non per la scarsità di generi di prima necessità, garantiti da ONU e Comunità Europea – prosegue Visconti di Modrone – ma per la profondità del disagio mentale vissuto dai profughi. Parlandone anche con uno psicologo, ho pensato subito ad uno spazio comune e all’architettura come strumento per fornire un luogo dove poter uscire dalla monotonia. Una delle cose più belle è stata quella di vedere come, dopo un’iniziale diffidenza, nel giro di un mese la tenda sia stata “conquistata” dagli abitanti del campo. D’altronde il senso dell’operazione era proprio quello, dare agli abitanti una “piazza” dove poter vivere parte della giornata in comunità. Un elemento sottolineato anche dal nome stesso: Maidan in arabo significa piazza».

Ad entrare nello specifico della progettazione è Bettini Oberkalmsteiner: «per sviluppare il progetto “Maidan tent” abbiamo cercato di costruire un luogo in grado di soddisfare al meglio le necessità e le esigenze pubbliche, sociali e di gruppo all’interno del campo. Con questa architettura, il nostro scopo era quello di soddisfare il bisogno di ritrovo collettivo. La sua forza, infatti, consiste proprio nella sua flessibilità e multifunzionalità. La geometria di questa sorta di piazza coperta – racconta Bettini Oberkalmsteiner – crea un ambiente comune che si traduce in un punto fondamentale per la gestione del campo, ma non solo. La divisione in settori permette l’utilizzo anche a gruppi diversi o a singoli individui, a seconda dei bisogni».

© Foto DelfinoSistoLegnani e MarcoCappelletti

Ma com’è strutturata la Maidan tent? È una grande tenda concepita come una piazza pubblica coperta, 200 mq di superficie in grado di ospitare fino a 300 persone contemporaneamente. I materiali sono stati studiati attentamente per poter ottenere una struttura facile da smontare e rimontare, trasportabile, durevole e facile da manutenere. Per la struttura rigida sono stati impiegati l’alluminio e l’acciaio, mentre la copertura è stata realizzata con un tessuto in grado di resistere agli agenti atmosferici e anche al fuoco. Tutte le componenti sono standardizzate e certificate e, come detto, è articolata in modo che al suo interno vi siano diverse aree separate. Lo spazio circolare è suddiviso in maniera simmetrica in otto settori, che prevedono a loro volta due ambienti concentrici. La zona centrale della tenda è la più ampia e, infatti, è quella dedicata all’incontro e alle attività organizzate dalle ONG che supportano la gestione del campo. A delimitare la porzione centrale, un anello di nicchie semi private dove le persone possono svolgere le proprie attività in un’atmosfera più intima.

La progettazione e l’aspetto piscologico. Fondamentale in tutta la fase di disegno e ideazione della Maidan tent è stato il continuo confronto fra gli architetti e uno psicologo. Questo ha dato vita a tre principali caratteristiche: una forma circolare in grado di trasmettere un senso di apertura su ogni lato, una suddivisione interna in zone diverse per consentire altrettanti tipi di interazione, uno spazio multifunzionale in grado di andare incontro ad ogni tipo di esigenza. Un esempio? Durante i mondiali di calcio di Russia, nella sezione centrale è stato montato un telo sul quale sono state proiettate le partite. Questo però non ha tolto la possibilità, a chi non era interessato, di vivere comunque la tenda.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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