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Da Auckland a Seoul, da Doha a Sapporo, istantanee delle città che riprendono la routine

In Italia inizia la fase 2. Gli italiani all’estero raccontano il post-lockdown nel mondo


Il mondo fa i conti con la pandemia che ha travolto interi Paesi e ha colpito duramente le città. Pantografo Magazine è nato per indagare e raccontare cosa succede “dentro le città” e in questa occasione ha scelto di intervistare alcuni italiani all’estero per ascoltare com’è la situazione là dove ci sono notizie positive come in Nuova Zelanda o in Paesi come il Giappone e la Corea, già settati per cultura sulle nuove misure del social distancing.

Seoul. Foto: Eric Yong Joong Lee

Se Milano si è già distinta per aver lanciato un piano di rafforzamento delle piste ciclabili, in questi giorni il Guardian ha raccontato la strategia messa in atto dalla città di Vilnius, annunciata dallo stesso sindaco: concedere a ristoranti e bar molti spazi pubblici di proprietà del Comune. Gratis e per l’intera stagione, rendendo di fatto Vilnius un unico, grande «open-air café». Ecco che con una soluzione che accontenta i commercianti e la comunità locale, di fatto si offre anche un sostegno al turismo.

Un giro del mondo guardando dalle finestre di casa. Se in Italia ciò che sembra fare la differenza è la natura che si riappropria dei propri spazi, il silenzio e il vuoto degli spazi pubblici è una costante in tutto il mondo. La fase 2 sarà tutta da scoprire.

Dubai. Foto: Francesca Vittori

Dubai. Sfatiamo il mito de «il Covid-19 sparirà con l’estate perché non resiste al caldo, negli Emirati ci sono dai 30 ai 37 gradi e il Coronavirus è arrivato anche qui e nell’arco di 2 mesi ha superato quota 11mila casi». Francesca Vittori, Destination Space Director di Design Group Italia ha passato la sua quarantena a Dubai dov’era per una missione lavorativa.  «Nei mesi di febbraio e marzo, ai passeggeri in arrivo in UAE da zone rosse come Cina, Italia, Sud Corea, veniva immediatamente misurata la temperatura e fatto un tampone, con autoisolamento fino ad esito negativo del test. Le spiagge erano aperte e anche i ristoranti e gli hotel, ma dall’oggi al domani sono apparsi sanitezer ovunque e le prime mascherine sui volti. Il 21 marzo è scattato il lockdown notturno dalle 6 del pomeriggio alle 8 di mattina – racconta Francesca – per la sanificazione delle strade, con raccomandazione di uscire solo per reali necessità. Per molti è partito lo smartworking, in hotel si sono chiuse via via spa, piscine, palestre e niente buffet. È stato chiuso uno degli aeroporti più importanti al mondo e Fly Emirates a terra fino nuovo ordine, inclusa la comparsa di oltre 10 centri di self test tra Abu Dhabi e il resto degli UAE». Il 4 aprile c’è stato il lockdown di 24 ore per Dubai (non tutti gli UAE): aperti solo supermercati e farmacie e obbligo di registrazione sul sito della polizia, semplice, veloce e con risposta in 10 minuti per ricevere il permesso di uscita. Dal 24 aprile la riapertura controllata e il lockdown dalle 10 di sera alle 6 di mattina.

Dubai. Foto: Francesca Vittori

«Sono stati riaperti anche i centri commerciali – racconta Francesca – centro nevralgico di milioni di consumatori di questa regione, dopo una intensa sanificazione, con capacità limitata al 30% e con una permanenza massima di 3 ore e controllo temperatura all’ingresso. Non saranno aperte le aree di divertimento come cinema, acquari, aree bambini, e sono state tolte tutte le sedute. I parcheggi sono chiusi al 75%, invece via libera ai negozi che possono garantire il rispetto delle linee guida. Finalmente dal solo delivery meal, hanno riaperto ristoranti, quelli che possono garantire una distanza di 2 metri tra i tavoli, e anche i negozi, sempre con la garanzia che possa essere rispettato il social distancing, funzionanti anche i mezzi di trasporto sempre post sanificazione e con segnaletica a terra che ricordi di mantenere le distanze. Ma non è tutto aperto… infatti le spiagge, le moschee, i parchi divertimento, le attrazioni turistiche e i tour sono ancora banditi, ma ci si aspetta di poter accogliere i turisti già da luglio, o al massimo settembre. E ripartiranno così anche i lavori per Expo Dubai 2021, posticipato di un anno».

Auckland. La premier neozelandese Jacinta Arden in queste ore ha commentato positivamente che il contagio si è fermato ma non è il momento di abbassare la guardia, «bisogna rimanere vigili se si vuole che la situazione rimanga così». Il ritorno alla normalità quindi non è ancora garantito come racconta Maria Giulia Pozzi, giornalista italiana che vive da qualche anno a Auckland, sposata con un neozelandese e con due bimbe piccole. «Fin dall’inizio della crisi, la Arden aveva dichiarato che la strategia da seguire non era il contenimento, ma l’eliminazione del Covid-19. Per questo motivo il 26 marzo scorso è scattato il lockdown, tutti a casa con il motto “stay home, save lives”.

Scuole, imprese, frontiere chiuse, aperti solo i servizi essenziali. Nei giorni del cosiddetto livello 4 è stato possibile uscire solo per fare la spesa, andare in farmacia o per fare delle passeggiate e un po’ di esercizio, mantenendo sempre la distanza di sicurezza di due metri». Dopo 4 settimane di isolamento e 18 decessi su 1.470 casi di Coronavirus il Capo di Governo ha deciso che la Nuova Zelanda era pronta a scendere al livello 3 di allerta. «Le scuole hanno riaperto per i ragazzi fino ai 10 anni, quelli tra gli 11 e i 13 anni continuano a studiare da casa grazie a internet, i dipendenti delle imprese lavorano da casa quando possibile, i movimenti tra le regioni del Paese sono autorizzati solo se necessari, negozi e ristoranti rimangono ancora chiusi al pubblico, ma si può acquistare online e i ristoranti possono effettuare il take-away. Ad Auckland si iniziano così a intravedere dei piccoli spiragli di una normalità ancora lontana».

Auckland. Foto: Maria Giulia Pozzi

Da uno dei Paesi più lontani da noi arriva anche l’allarme di quanto «Import ed export abbiano subito significative perdite, causa blocco delle linee aeree in entrata e uscita dal Paese per beni non ritenuti essenziali. I clienti delle società di import/export – racconta Maria Giulia – hanno allentato la domanda, a causa delle grandi quantità di merce in giacenza nei magazzini. Non solo, i servizi portuali bisettimanali per cargo in arrivo hanno creato grandi rallentamenti per lo smistamento dei container».

La giornalista italiana, che da quando si è trasferita si è cimentata nel mondo del food e con uno sguardo particolare racconta che «i ristoratori non hanno potuto fare molto fino ad oggi, ma stanno creando menu ad hoc per il post Level 4. Il take away sarà il trend per le prossime due settimane per due motivi: le famiglie non hanno più voglia di cucinare, il secondo, in Nuova Zelanda c’è un forte senso di appartenenza alla comunità e di conseguenza si cercherà di sostenere i ristoranti e bar del proprio quartiere. Chi ha vinto in questa situazione – racconta – sono stati indubbiamente i proprietari dei supermercati, le società di cibo surgelato e le imprese tipo “My food bag”, che offrono pacchi con ingredienti freschi e ricette semplici da seguire per l’intera famiglia per una settimana. Nuove idee come il fine dining per cani aprirà con il servizio da asporto, un’esperienza da poter condividere con i propri padroni nella comodità di casa per adesso, aspettando la riapertura dei locali pubblici».

Doha. Foto: Claudio Bonomi Savignon

Doha. Claudio Bonomi Savignon, Head of East GCC & Turkey per PTV Group (un’azienda che si occupa di mobilità e innovazione) e la moglie Francesca Re, Head of Legislation and Compliance per Qatar Financial Centre, che è una authority che regola le free zone nel Paese, raccontano com’è Doha dalla loro finestra. «Il Covid qui in Medio Oriente ci ha colpito negli strascichi della stagione fresca, quella che ancora permette di vivere all’aperto in attesa del caldo soffocante di metà maggio che porta lentamente ai cinquanta gradi. Il lockdown, gradualmente introdotto a metà marzo (in notevole ritardo rispetto ai paesi europei) si è configurato nell’annullamento di tutti gli eventi pubblici, la chiusura di scuole, bar, ristoranti e centri commerciali, fino all’obbligo di smart working per tutte le aziende. Sebbene misure più restrittive siano in atto a Dubai – raccontano Claudio e Francesca – a Doha si può ancora uscire liberamente (senza creare assembramenti) e senza nessuna certificazione.

La spesa si fa obbligatoriamente con guanti e mascherine, e il controllo della temperatura corporea all’ingresso. Nelle aree dove è piacevole passeggiare e fare jogging tuttavia, si vedono ancora troppe persone anche in piccoli gruppi, e la sensazione è quella che le misure siano non sufficientemente stringenti per contrastare il diffondersi del contagio che ha avuto nella giornata del 25 aprile ad esempio un picco di 920 contagi. Allo stato attuale si registrano 10 morti e un totale di 9,300 contagi, in linea con il trend del Medio Oriente. Dal momento che il Qatar sta andando verso il picco, ancora non si parla in modo concreto della Fase 2 e anzi, è probabile che le autorità implementeranno misure ancor più rigide».


Per ora rimangono in essere la chiusura dei trasporti pubblici e la riduzione drastica dei voli da/per Doha.


«Le strade della capitale sono semideserte con una riduzione del traffico di circa il 50-60% nelle ore di picco. Tuttavia – commenta Claudio – i cantieri sono ancora aperti, così come i negozi al di fuori dei centri commerciali». Il Ministero della Salute, in attesa di verificare l’impatto delle temperature più calde sulla diffusione del virus, continua ad aumentare il numero dei tamponi per capire come si evolverà la fase di picco. Si prospetta un Ramadan 2020 molto diverso dagli altri, e ci si aspetta che le condizioni attuali permarranno almeno fino ad inizio giugno.

Seoul. Dalla Korea, per Pantografo Magazine è arrivato un ricco reportage fotografico grazie alla collaborazione di Eric Yong Joong Lee, professore alla Dongguk University, Korea e YIJUN Institute International Law, marito di Olimpia Niglio che a causa del lockdown è rimasta ferma a Lucca, non potendo quindi raggiungere il compagno a Seoul.

Foto: Eric Yong Joong Lee

Seoul non è una città con grandi affollamenti, indipendentemente dalla situazione legata al Covid-19, ma che non si tratta di una situazione ordinaria è facile capirlo rapidamente. «Al principio del 2020, il Covid-19 è entrato prorompente nella nostra quotidianità mettendo in discussione il complesso sistema socioeconomico e modificando il dinamismo della vita in tutte le sue forme. Ogni nazione – racconta l’italiana Olimpia Niglio, Hokkaido University, Japan, che da anni vive tra Korea e Giappone – ha iniziato a pianificare e strutturare azioni di contenimento e controllo. Tra queste, la Repubblica di Corea ha messo immediatamente in atto strumenti tecnologici innovativi per individuare le forme di contagio e lo sviluppo del virus. L’immediata azione sul monitoraggio della popolazione è derivata dall’esperienza di una simile situazione che il Paese ha dovuto affrontare nel 2015 quanto un altro coronavirus (Mers) l’ha colpita. Le conoscenze e le esperienze introdotte allora – racconta – sono servite per normare sistemi di controllo costante e continuo della popolazione attraverso tracciamenti attivati tramite dati GPS del telefono cellulare nonché dell’uso di carte di credito e di debito presso i servizi commerciali in particolare farmacie e servizi sanitari. Questo programma di controllo, attivo quindi da 5 anni, ha consentito di monitorare perfettamente gli effetti clinici ignoti del virus, di individuare le persone infettate e maggiormente a rischio e di raccogliere dati fondamentali per gli studi epidemiologici relativi ad un problema sanitario internazionale per il quale ancora oggi non esiste un farmaco specifico».

Nonostante ci siano state aree di forte contagiosità, in diverse città coreane si sono rafforzati quindi i sistemi tecnologici di controllo costante dell’intera popolazione, senza chiudere mai alcuna attività produttiva e continuando le azioni quotidiane con i dovuti sistemi di protezione, in particolare uso di mascherine che nei paesi dell’estremo oriente sono sempre di uso corrente in tutti i periodi dell’anno. «Non sono state attivate forme di distanziamento sociale, se non confermate quelle di dovuto rispetto. Soltanto le attività accademiche, principalmente universitarie, sono state temporaneamente convertite in corsi online – racconta Olimpia – mentre l’attività di smart-working è una prassi già attiva da molti anni soprattutto per le aziende private al fine di ridurre gli spazi destinati ad uffici nonché per gestire in maniera più autonoma gli orari di lavoro».

Ogni giorno regolarmente continua la vita nelle città: spazi commerciali, spazi pubblici, economia informale, vita all’aperto

Olimpia Niglio

 

Da segnalare che negli ultimi tempi i benefici attesi dall’utilizzo del lavoro intelligente e i supporti istituzionali e tecnologici hanno avuto un effetto positivo sull’adozione del lavoro da casa da parte anche delle istituzioni pubbliche con la conseguente riduzione dei costi di trasporto a beneficio dell’ambiente. «Così – conclude – nella Repubblica di Corea, convivendo con Covid-19, ogni giorno regolarmente continua la vita nelle città: spazi commerciali, spazi pubblici, economia informale, vita all’aperto».

Sapporo. In questo racconto, tentando un rapido giro del mondo, Olimpia ha coinvolto il collega Ako Katagiri che ha scattato per noi un reportage dal centro di Sapporo, nell’isola di Hokkaido. Una testimonianza tangibile del “semi-lockdown” scelto in Giappone. «Dal 1950 a Sapporo nei primi giorni di febbraio si svolge il festival delle sculture di ghiaccio meglio noto come Yuki Matsuri. Questo 2020 – racconta Olimpia Niglio – il festival è coinciso anche con la festa dell’anno lunare e pertanto moltissimi turisti sia giapponesi che stranieri si sono riversati sull’isola del nord del Giappone per osservare questo straordinario spettacolo. Tutto questo ha comportato che a seguito della diffusione pandemica di Covid-19 l’isola sia stata coinvolta per prima in una serie di provvedimenti che hanno reso necessario il controllo della diffusione del virus».

Il governatore Naomichi Suzuki ha agito chiedendo chiusure volontarie, ma che hanno consentito la continuità produttiva e lavorativa utilizzando molto anche lo smart-working. Tutte le scuole sono state chiuse e attivate le attività online. «Anche le biblioteche, auditorium, musei e le istituzioni pubbliche hanno sospeso tutte le programmazioni culturali. Sono rimasti aperti tutti i servizi indispensabili in prossimità delle abitazioni, come supermercati e farmacie; alcuni aperti anche 24 ore su 24. Intanto, la strategia del “semi-lockdown” ha consentito di continuare tutte le attività anche se con riscontri produttivi inferiori». Le dichiarazioni emesse dal Governo dell’Hokkaido hanno fatto forte affidamento sull’autodisciplina delle singole persone, il cui comportamento è stato controllato dagli stessi cittadini, tanto che gli sguardi sono stati molto più efficaci delle stesse prescrizioni legali.

Tutte le indicazioni emesse, come quello di lavarsi le mani di rientro a casa o di portare con sé fazzoletti disinfettati e mettere obbligatoriamente le mascherine, fanno parte del consueto comportamento della vita in Giappone, così come mantenere la distanza tra le persone quale atto di rispetto. Infatti, tutte queste prescrizioni si apprendono sin da piccoli nelle scuole.

Sapporo. Foto: Ako Katagiri

«Ogni anno durante il mese di marzo si svolgono le cerimonie per il conferimento delle licenze scolastiche mentre ad aprile è il tempo delle cerimonie d’ammissione nelle scuole o nelle attività lavorative. Queste cerimonie – racconta Olimpia – si sono svolte ugualmente anche se i familiari hanno potuto assistere a distanza mediante video-trasmissioni. Anche la tradizione dell’Hanami, ossia del picnic nei parchi che si svolge con l’inizio della primavera per celebrare la fioritura degli alberi di ciliegio, quest’anno si è svolta in casa e tutti hanno potuto ammirare questa bellezza della natura solo dalle finestre o dagli schermi del computer». L’esperienza giapponese e in particolare dell’isola di Hokkaido, seppur molto positiva anche per la bassa percentuale di contagiati e irrisorie cifre di deceduti, ha messo in evidenza «una buona organizzazione sanitaria consentendo l’ingresso negli ospedali solamente ai pazienti gravi, mentre i contagiati non gravi sono stati tenuti in quarantena in casa o in alberghi. L’esperienza di Hokkaido – commenta – è un caso interessante da tenere presente nella riorganizzazione quotidiana che anche l’Italia si appresta ad affrontare per la messa in atto della fase 2».

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