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Viaggio a Teheran, l’impatto con un mondo diverso

L’immersione in una nazione multietnica, tra regole sull’abbigliamento e innovazione


Il secondo capitolo del viaggio verso la sede della Conferenza Internazionale sul futuro degli spazi urbani.

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Cercando di inquadrare il mio intervento alla prima Conferenza internazionale sul futuro degli spazi pubblici urbani, ho iniziato a farmi alcune domande. E se il mio argomento fosse “troppo occidentale” per il pubblico a cui lo presenterò? O, invece, sarà una fonte di ispirazione e riflessione su come il mondo si stia mescolando e trasformandosi costantemente, in un’unica espressione di identità globale?

Geograficamente parlando, l’Iran si trova nella congiuntura fra Asia occidentale e Medio Oriente. Confina con altri sette Paesi e gode di un mix di culture frutto di una storia millenaria. Si tratta quindi di una nazione multietnica composta da diversi gruppi tra cui persiani, curdi, lur, arabi, baluci, turcomanni e tribù turche. Sebbene quello persiano sia il più grande e la sua cultura sia quella più diffusa, il governo iraniano ha adottato misure per garantire la diversità. La stessa Costituzione garantisce i diritti delle minoranze sancendo la parità di diritti con il gruppo maggioritario. Anche per questo, il confronto fra i miei studi e quanto avrei visto a Teheran, mi ha fatto sperare in un dibattito proficuo durante la Conferenza. Sono abituata a viaggiare e ho già visitato paesi islamici. Ciò nonostante, al momento di confermare la mia presenza, non ero pienamente conscia delle norme e dei regolamenti della Repubblica Islamica.

La prima domanda era sulla mia idoneità ad entrare nel Paese. Da questo punto di vista però, avere una doppia cittadinanza italo-statunitense ha reso tutto più facile perché ho potuto scegliere la nazionalità meno in conflitto con l’attuale difficile rapporto diplomatico fra USA e Repubblica Islamica.


Nel Paese esiste un uso obbligatorio dell’hijab fin dalla rivoluzione del 1979


Moschea di Shah di Tehervic vicino al Grand Bazaar – credits Cristina C. Murphy

Masih Alinejad, autrice del libro “The Wind in My Hair”, ha creato un movimento di protesta contro questa imposizione, che si è diffuso sui social media e ha portato a una dimostrazione senza precedenti (con una serie di hashtag #MyStealthyFreedomm #girlsofenghelabstreet, #mycameraismyweapon, #whitewednesdays).

Altra questione sensibile riguarda le regole sull’abbigliamento. Per le donne, ci sono indicazioni restrittive per quanto riguarda il modo di indossare il foulard, oltre alla lunghezza dei soprabiti. Agli uomini, invece, è proibito indossare pantaloncini corti, avere tagli di capelli estranei alla cultura iraniana e indossare magliette con motivi o scritte occidentali. Tuttavia, ciò che sorprende è che nel report del Centro iraniano per gli studi strategici diffuso a inizio 2018 (una ricerca durata tre anni e iniziata nel 2014), persino il governo iraniano ammette che il 49% della popolazione è contrario alla legge dell’hijab obbligatorio nel paese.

Dopo aver letto le disposizioni sul codice di abbigliamento, ed essendomi resa conto del loro legame con la possibilità di partecipare alla vita pubblica, mi è sorta una domanda: come verrà affrontato il tema del futuro degli spazi pubblici urbani durante la Conferenza alla quale interverrò? Sentivo la responsabilità e la voglia di contribuire a questa Conferenza, anche per sperimentare sulla mia pelle tutto ciò che stavo iniziando a conoscere dell’Iran.

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