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Da patologia a intrattenimento, i videogiochi passano il test pandemia

Giro d’affari da 1,7 miliardi di euro nell’ultimo anno. Banco di prova per programmatori e designer


Un mercato in costante crescita, aziende leader anche nel nostro Paese, scenari sempre più internazionali. Questa, in sintesi, la fotografia del settore del gaming dell’ultimo anno in Italia il quale, stando ai dati del rapporto del 2019 di IIDEA – associazione di categoria che rappresenta l’industria dei videogiochi nel nostro paese –, ha generato un giro d’affari da 1,7 miliardi di euro, con una crescita del 13,5% solo del settore software digitale rispetto all’anno precedente. E, se si guarda anche all’inchiesta di GFK che considera il periodo tra il 9 marzo e il 5 aprile 2020, i due mesi di quarantena forzata hanno sicuramente favorito la crescita del settore, facendo segnare un +65% di vendita di console solo in Italia.

Un’industria che genera ricchezza, oltre che divertimento, e che potrebbe aver avuto un ruolo importante nel mantenimento delle distanze fisiche e sociali durante la pandemia, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha deciso, inaspettatamente forse, di cambiare le linee guida proprio in relazione al gioco online e di console durante la crisi sanitaria. Solo un anno fa, la dipendenza dal gaming era stata ufficialmente inserita nell’elenco internazionale delle patologie, mentre nel 2020, con il lancio ad aprile della campagna #PlayApartTogether, l’OMS l’ha dichiarato un passatempo “utile” a mantenere il distanziamento sociale. In altre parole, sì alla socializzazione, rigorosamente virtuale.

A questa campagna hanno aderito 18 grandi aziende internazionali, oltre ad alcune italiane, che hanno messo a disposizione gratuitamente degli utenti diversi giochi, oltre a raccogliere fondi per gli operatori sanitari. Iniziative “nobili” che, come conferma anche Simone Magni, game designer dell’azienda Miniclip e già docente di game design alla Digital Bros Academy, e alla facoltà di ingegneria dell’università di Genova, hanno coinvolto anche piccole realtà. «Un mio ex collega, Matteo Sciutteri, con una piccola azienda di videogame – racconta Magni – ha aderito alla campagna tramite i social, per donare videogiochi a chi non se li poteva permettere, e ha riscontrato numerose adesioni sia da aziende private che da sviluppatori. A questi ultimi – prosegue – si chiedeva di lasciare le chiavi o i codici per scaricare i giochi dagli store digitali su un documento condiviso di facile accesso come Google Drive». E riguardo alla crescita del mercato negli ultimi mesi,


Magni conferma che nonostante il particolare modello di business dell’azienda per cui lavora, dedicato a giochi free to play per cellulare,«gli accessi degli utenti durante il lockdown sono più che raddoppiati».


«Si può dedurre che anche che per il retail sia stato così – continua – basti pensare all’aumento delle vendite di Animal Crossing (gioco molto popolare per la console Nintendo Switch)».

La scommessa sul futuro dipenderà da quanto la pandemia sia stata un’opportunità per le aziende italiane di penetrazione nel mercato internazionale. «In Italia il mercato dei videogiochi è quasi amatoriale – spiega Magni – ma ci sono anche grosse realtà come Milestone, con oltre 200 dipendenti, che sviluppano ad esempio giochi di corse e MOTOGP. Tra le altre c’è Miniclip, una solida realtà internazionale che nella sede di Genova conta 50 dipendenti. Per il resto si tratta di una miriade di aziende piccolissime che però non riescono a fare il salto in strutture consolidate e meglio organizzate». Aziende che spesso vengono acquisite da società straniere, forse anche per una mancanza di investimenti nel nostro Paese. Un tema, quello dei finanziamenti, per il quale IIDEA si batte da anni, tanto che nel periodo della pandemia, è riuscita a far introdurre il “First Playable Fund” nell’ambito del DL Rilancio del 13 maggio: un fondo di 4 milioni di euro per il finanziamento di prototipi di videogiochi che ha come obiettivo quello di sostenere lo sviluppo dell’industria dei videogiochi a livello nazionale. Un passo avanti che per il settore rappresenta un risultato importante, soprattutto se si pensa che l’industria del gaming coinvolge programmatori, designer, illustratori di altissimo livello.


«I software dei videogiochi sono tra i più complessi che si possano trovare – conclude Magni – e i tecnici che lavorano in questo settore poi sono spendibili in altri ambiti. Compreso quello dell’architettura, per quello che riguarda la grafica 3D».


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