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Un bistrot, 28 posti e l’impegno nella cooperazione internazionale

A Milano il concept del proprietario (e architetto) Gaetano Berni


Da 28 POSTI, bistrot in prossimità dei Navigli a Milano, la proposta gastronomica, la cura per la progettazione degli interni e la passione per il design si accompagnano a un’attenzione specifica per la dimensione sociale che si è manifestata inizialmente attraverso il coinvolgimento dei detenuti del carcere di Bollate, chiamati a lavorare in cantiere, e successivamente in un ampio ventaglio di iniziative mirate a sostenere le popolazioni svantaggiate.

Agnello presalè: agnello, maionese d’ostrica, cavolo nero, fitoplancton. Foto: Marco Varoli

Come nel caso del progetto “Food in Slums” che ha visto il ristorante farsi promotore di una campagna di raccolta fondi a favore dei bambini che vivono nelle baraccopoli di Nairobi e che spesso subiscono l’arresto della crescita a causa della malnutrizione infantile. A Mathare il progetto ha previsto la creazione di quattro orti comunitari su una superficie totale di 2mila mq. Due orti già esistenti sono stati potenziati con un progetto pilota di itticoltura e con la costruzione di un impianto di fitodepurazione. Sono stati avviati anche tre allevamenti di animali in collaborazione con la Facoltà di Agraria e Scienze Zootecniche dell’Università degli Studi di Milano. Vengono attualmente sostenuti circa 250 beneficiari, che oltre a poter accedere ai prodotti alimentari ricevono una formazione professionale.

Perché tutto questo sia possibile, accanto a 28 POSTI opera “Liveinslums”, la ONG fondata da Gaetano Berni, proprietario/architetto del bistrot, e impegnata nella cooperazione internazionale con progetti umanitari a favore di contesti svantaggiati dei paesi in via di sviluppo.

Una delle due sale. Foto: Filippo Romano

Quando è nata l’idea di 28 POSTI la ONG aveva da poco avviato una falegnameria all’interno del carcere di Bollate. “Durante questo periodo abbiamo realizzato vari progetti e coinvolto molti designer a partecipare, tra cui Cini Boeri, Riccardo Dalisi, Riccardo Blumer -racconta l’architetto-. Da quest’esperienza è nata anche la collaborazione con il designer Francesco Faccin che, insieme al maestro ebanista Giuseppe Filippini e ai detenuti, ha realizzato molti degli arredi presenti al ristorante (armadiature, porte, tavoli). Parallelamente, come coordinatore del cantiere e responsabile del progetto architettonico, ho coinvolto alcuni detenuti che, grazie all’art. 21, hanno preso parte ai lavori di ristrutturazione”. Il locale era la sede di uno storico karaoke, abbandonato da molti anni. L’ambiente è stato riportato allo stato originario, recuperando quello che era possibile (pareti e travi in legno), ma anche inserendo elementi nuovi. “Il progetto è volto a una valorizzazione spinta verso la cucina, che è la vera protagonista del locale, sempre visibile, dal momento in cui si oltrepassa l’ingresso, dalla sala e dall’esterno”, continua Berni che per la realizzazione del bistrot ha lavorato con Maria Luisa Daglia.

E se la cucina è protagonista del locale, il giovane chef Marco Ambrosino è l’originale artefice di quanto arriva a tavola. Viene da Procida, e prima di arrivare a Milano ha lavorato al “Melograno” di Ischia dalla chef Libera Iovine e, successivamente, al “NOMA” a Copenhagen, giudicato per ben quattro volte il miglior ristorante del mondo secondo la classifica “The World’s 50 Best Restaurants” della rivista “Restaurant”. “Nella mia cucina ho cercato di fondere la matrice mediterranea e tradizionale, che è sempre presente in tutti i miei piatti, e quella più contemporanea e d’avanguardia -racconta Ambrosini-. Al 28 POSTI proponiamo una cucina creativa ma profondamente ispirata a luoghi e tradizioni della mia terra”. Il menu cambia ogni due mesi con la costante presenza di alcuni piatti come i tagliolini con porro fondente, polvere di capperi, limone candito; la cipolla bruciata con fragoline di bosco fermentate; il dolce a base di ricotta, carbone, gelato al polline e bottarga. Ambrosini è versatile e curioso: il mese scorso, in occasione del Salone del Mobile, si è confrontato con il designer Odo Fioravanti.

Odo Fioravanti e Marco Ambrosino. Foto: Matteo Imbriani

Il tema della loro interazione è stato il “piatto”, inteso sia come “pietanza” sia come “oggetto” sul quale viene servito il cibo. I due si sono cimentati a pensare e progettare una serie di piatti-ricette in cui la ricetta prendesse forma dal piatto e viceversa. Il risultato? Sei oggetti per sei portate, dall’antipasto al dolce, tutti da scoprire con occhi e palato.

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